venerdì 26 giugno 2009

Giancarlo Franco Tramontin

Scorrendo le pagine dei numerosi cataloghi che raccontano l’opera artistica di Giancarlo Franco Tramontin, professore emerito di scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, si percepisce come la sua produzione sia indirizzata principalmente ad enucleare e sviluppare il rapporto forma-figura-spazio, tema affrontato da grandi artisti del '900. La metodica iniziale della creazione intellettuale del maestro Tramontin consiste nella progettazione dell’opera tramite il disegno: le poche, essenziali, stilizzate e flesse linee che si amalgamano armonicamente su un foglio appeso ad una bacheca nel suo laboratorio, fungendo da guida per l’esecuzione sulla materia, già manifestano l’essenza della scultura che egli si appresta a realizzare. L’equilibrio formale ed intellettuale che tali segni evidenziano sembra rispecchiare la personalità calma, colta e riflessiva dell’artista stesso. Il passo successivo é la traslazione nella materia dell’idea rappresentata inizialmente nel disegno. E’ a questo punto che inizia ad emergere il rapporto sopra indicato. Sembra quasi che l’artista non tanto scolpisca la materia, sebbene siano in lui presenti i canoni tradizionali della lavorazione scultorea di matrice greca i quali prevedono l’uso di mazzuolo, scalpelli, raspe, quanto ripulisca con un panno il blocco di legno o di marmo dal materiale superfluo che nasconde la forma da lui cercata. Ma cosa emerge dal suo togliere? E’ la forma stessa, che si concretizza e si sostanzia divenendo soggetto vero e proprio. Non si ricerca una rappresentazione narrativa fine a se stessa ma una concretizzazione formale pura ed ideale. Perciò l’opera fluttua nello spazio ed è percorsa dalle dinamiche dei pieni e dei vuoti o dei piani inclinati, smussati, arrotondati, armonicamente raccordati, e travalica la percezione visiva per divenire corpo vivo che dialoga con il vuoto circostante. La forma-soggetto progredisce poi accostandosi al concetto di figura umana: essa viene trasformata dall’artista in un archetipo dai tratti antropomorfici, fondendo la pura forma ideale con la dimensione naturale del corpo umano. E, per concretizzare tali propositi, G.F. Tramontin guarda alla cultura ed all’arte greca, come mostrano numerose sue sculture, già a partire dai titoli (“Efebo” del 1990, “Nereide” e “Ninfa” del 1991, “Tersicore” 2007). Attraverso questo percorso, egli recupera il concetto scultoreo di torso o di busto: esso è inteso come una sorta di simbolico resto archeologico, che, se da un lato rimanda mentalmente alla scultura greca, dall’altro diventa sul piano visivo, grazie all’assenza delle estremità “spezzate” (testa, piedi e mani), funzionale alla realizzazione di una forma armonica, chiusa e concentrata rappresentativa della perfezione della figura umana. Le parti anatomiche vengono delineate e stilizzate, secondo una modalità che toglie, arrotonda, leviga e addolcisce il materiale, creando ritmi sinuosi e ammantati di essenzialità, purezza, equilibrio d’insieme. Tutto per giungere così ad una iconografica priva di ogni artificio, ma sempre antropologicamente leggibile, in cui le membra vengono trattate dolcemente, con lievi spessori dagli effetti chiaroscurali, o delineate da sottili solchi che sembrano ricordare il morbido, quasi pittorico, stiacciato donatelliano. Nasce così una plasticità d’insieme che fonde estetica e concettualità e che, sottilmente ritmata da melodiose increspature della materia, tende ad un crepitante pathos. Infine, la forma armoniosa e coesa che si genera da questo percorso, conquistandosi un proprio posto nel vuoto, si muove, si torce, si inarca e si protende nel vuoto senza contrappunti nè cesure, stabilendo un colloquio con la luce e con l’atmosfera che la circonda e perciò con il fruitore che la osserva. Il colore, le venature, il trattamento di rifinitura lucida o opalescente del materiale contribuiscono ad aumentare il dialogo tra forma e spazio: l’osservatore viene talmente attratto delle rilucenze e dai riflessi della scultura che non può fare a meno di volerla toccare per coglierne appieno la perfezione ideale che da essa scaturisce.

Siro Perin

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